di Roberto Arcella (pubblicato su cspt.pro)
La legge 132/2015 (e prima di essa il d.l n. 83 dalla stessa fatto oggetto d conversione) contiene la previsione due norme che, in apparenza, non hanno nulla in comune.
L’art. 16 undecies dl 179/12, introdotto dall’art. 19 della legge in esame, al comma 3 contempla, com’è noto, la necessità di un provvedimento del Direttore generale dei S.I.A. che disciplini le modalità di individuazione dell’atto cui l’attestazione separata si riferisce, e quando si tratti di eseguire una notifica telematica e quando occorra effettuare un deposito di copia informatica conforme. Da tale norma, tutti (tranne chi scrive) ne hanno inferito una impossibilità assoluta di eseguire le notificazioni via pec di “copie” di atti e provvedimenti, stante la necessità che l’attestazione sia contenuta nella relata di notifica.
Lo stesso art. 19 L. 132/15, però, ha aggiunto al comma 9 dell’art. 16 bis, Dl 179/12 (quello contenente la clausola di salvaguardia del cartaceo, secondo cui il Giudice può richiedere alle parti il deposito “di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche“) una nuova disposizione, secondo cui:
“Fatto salvo quanto previsto dal periodo precedente, con decreto non avente natura regolamentare il Ministro della giustizia stabilisce misure organizzative per l’acquisizione anche di copia cartacea degli atti depositati con modalita’ telematiche nonche’ per la riproduzione su supporto analogico degli atti depositati con le predette modalita’, nonche’ per la gestione e la conservazione delle predette copie cartacee. Con il medesimo decreto sono altresi’ stabilite le misure organizzative per la gestione e la conservazione degli atti depositati su supporto cartaceo a norma dei commi 4 e 8, nonche’ ai sensi del periodo precedente“.
Tutti sanno ormai che il celeberrimo art. 16 bis comma 9 (prima parte) dl 179/12 costituisce la base normativa della richiesta delle copie di cortesia; pochi ricordano che la richiesta può essere in realtà rivolta solo per specifiche ragioni e per singoli atti (non certo, in ipotesi, per un intero fascicolo) ed ancora nessuno ha considerato che, in presenza di modalità esclusivamente telematiche per taluni depositi (i giudizi monitori e i c.d. “endoprocessuali”), il deposito cartaceo è non solo vietato dalla norma al di fuori del caso di cui all’art. 16 bis comma 9, ma addirittura impossibile, finanche in tale ipotesi, per ragioni organizzative.
Va pure ricordato che la ratio di tale norma fu evidenziata, all’indomani dell’emanazione del DL 83/20158, con una nota dello stesso Ministero della Giustizia, il quale ebbe cura di precisare, il 23/7/2015 che “… l’emendamento all’articolo 19 del dl che demanda a un decreto del ministro le misure organizzative per l’acquisizione anche di copia cartacea degli atti depositati con modalità telematica non introduce in alcun modo un doppio binario telematico e cartaceo ma ha invece l’obiettivo di stabilire rigorosamente – in modo uniforme su tutto il territorio nazionale al contrario di quanto accaduto finora – i casi tassativi in cui è ammissibile l’acquisizione di copia di cortesia, ripartendo i relativi oneri tra uffici giudiziari e avvocatura“.
Allo stato, dunque, pare possibile affermare che in mancanza del decreto ministeriale richiamato dalla norma, i depositi di tali copie cartacee non possono essere effettuati nelle Cancellerie, che non hanno alcun potere (e men che meno alcun dovere) di riceversele, e potrebbero semmai formare oggetto di una consegna deformalizzata delle parti al Giudice. Ma in ogni caso, nessuno saprebbe come acquisire e come custodire tali copie (sulle quali il Giudice fonderebbe comunque la propria decisione e devono, quindi, formare oggetto di possibile controllo anche in sede di impugnazione) in assenza delle ricordate norme organizzative: di tal che, allo stato non si può che inferire l’impossibilità di siffatti depositi.
Sulla “conservazione” delle copie di cortesia va fatta un’ulteriore considerazione che attiene agli obblighi di riservatezza cedenti a carico dei professionisti: posto infatti che l’avvocato, per quanto abilitato al trattamento dei dati personali dei clienti in virtù delle autorizzazioni generali del Garante per la Privacy (al momento trattasi dell’autorizzazione generale n. 4/2014 dell’11/12/2014, in GU 301 del 30.12.2014), è comunque tenuto all’osservanza dell’art. 31 dlt 196/2003, che impone l’adozione di misure tali da ridurre al minimo “… i rischi di distruzione o perdita, anche accidentale, dei dati stessi, di accesso non autorizzato o di trattamento non consentito o non conforme alle finalita’ della raccolta“: non va infatti trascurata l’ipotesi di una perdita accidentale della copia di cortesia successiva all’informale deposito, contenente magari dati sensibili della parte rappresentata, con consequenziale diffusione accidentale dei dati. In simile ipotesi, l’avvocato si vedrebbe esposto alle gravissime sanzioni previste dal ricordato dlt, oltreché ad azioni risarcitorie da parte del cliente, pur avendo aderito ad una richiesta del Giudice proprio perché vi avrà aderito nella consapevolezza dell’inesistenza di disposizioni organizzative circa la conservazione.
Vero è che tali misure sono in procinto di essere adottate, ma non è fuor di luogo osservare, facendo piena e consapevole autocritica, che noi Avvocati abbiamo saputo cogliere immediatamente nella mancanza delle specifiche tecniche un ostacolo sopravvenuto alla piena attuazione dell’art. 3 bis L. 53/94 e, invece, non altrettanto abbiamo saputo rilevare a proposito dell’art. 16 bis comma 9, DL 179/2012, che allo stato impedisce nel concreto di acquisire e conservare legittimamente le copie dei “singoli atti” richieste dal Giudice “per ragioni specifiche“.
La “cortesia“, allo stato, è impedita dunque dall’assenza di tali norme organizzative.
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